ETF: COSTANO MENO, MA HANNO UN RISCHIO IN PIU', SIAMO CONSAPEVOLI DI QUESTO?

Oggi voglio fare alcune considerazioni legate al tema degli Etf.

Partiamo dallo spiegare che cosa è un ETF: Exchange Traded Funds: fondi oggetto di scambio sui listini; sono fondi di investimento passivi che replicano esattamente l’andamento di un paniere di attività finanziarie o indice. A differenza dei fondi comuni che sono “gestiti” dai relativi gestori, le loro quote possono essere comprate e vendute su un mercato di riferimento, proprio come le azioni e le obbligazioni.

Ma perché preferire un Etf ad un fondo? Fondamentalmente il motivo è legato ai costi, decisamente più bassi negli Etf, e al fatto che i fondi a gestione attiva, cioè quelli che cercano di fare meglio del mercato di riferimento (benchmark), molto spesso falliscono: circa l’80% dei fondi a gestione attiva fa peggio di quelli a gestione passiva.

Detta così, sembrerebbe ovvio scegliere gli Etf anziché i fondi attivi per un risparmiatore, se non fosse per il fatto che bisognerebbe essere in grado di costruire un portafoglio di Etf appropriato al profilo di investimento, in grado di resistere alle fasi di ribasso dei mercati.

Teniamo presente un particolare però, sia il Nav dei fondi a gestione attiva che il Nav dei fondi a gestione passiva, si aggiornano giornalmente. Per gli Etf c’è però un secondo valore da determinare: quello di scambio sui mercati, come se fosse un singolo titolo.

Gli Etf sembravano essere sempre più in ascesa nel mondo finanziario, finché nelle scorse settimane non si è verificato quello che potremmo definire il “fattaccio” che ha portato a riflettere.

Le pressioni finanziarie scatenate sui mercati finanziari legate al corona virus hanno messo in risalto gli enormi limiti dello strumento.

Il primo limite riscontrato riguarda il discorso legato ai forti ribassi; la gestione attiva tende mediamente ad avere una volatilità più contenuta rispetto all’indice. Per un risparmiatore che decide di investire, il rendimento non è l’unica cosa che conta; è altrettanto importante il modo in cui riesce a sopportare i saliscendi dei suoi fondi. Se la volatilità sarà minore nelle fasi ribasso, l’investitore riuscirà a vivere più serenamente il periodo, evitandogli di commettere errori di finanza comportamentale.

Il secondo limite, ancor più grave, riguarda il rischio di liquidità degli strumenti: alcune asset class sono state colpite da una fortissima ondata di vendite esplosa sui mercati. Questo ha portato ad una riduzione dei prezzi importante, causando ribassi frenetici e cospicui. Tale aspetto è valso sia per i fondi a gestione attiva che per quelli a gestione passiva.

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Per gli Etf, l’aspetto secondario è stato quello della price dislocation; l’enorme mole degli ordini di vendita è stata tale da ampliare enormemente la differenza tra i prezzi di acquisto e i prezzi di vendita (lo spread denaro-lettera o bid-ask). I prezzi delle asset class più a rischio non si sono riusciti a formare in molti casi ed in altri sono stati ribassati.

Nelle scorse settimane, nel momento in cui le banche americane hanno iniziato a dare liquidità solo alle aziende perché gli chiedevano linee di credito, le banche stesse hanno smesso di fare market maker sugli Etf; in alcuni casi si è trovati a scambiare gli Etf con 20 punti di differenza dall’indice. La fed, in un caso specifico è dovuta intervenire comprando essa stessa gli etf, creando un precedente.

Facciamo un esempio: immaginiamo di avere un Etf legato alle obbligazioni high yield, il mercato high yield perde il 15%, noi vogliamo venderlo ma non troviamo nessuno disposto ad acquistarlo, in questo caso il suo prezzo di negoziazione scende di un altro 15%; in questo caso noi abbiamo perso il 30%; in poche parole il nostro rischio raddoppia, lavoriamo a leva.

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Tale questione può sembrare poco importante, ma in realtà ha una rilevanza notevole. Nei casi di alta tensione sui mercati, più i prezzi degli Etf si discostano da quelli dei titoli che rappresentano, più viene a mancare la fiducia in un riferimento di prezzo certo; tale incertezza mette in discussione la trasparenza del settore, riversandosi sui portafogli degli investitori di Etf, che oltre ad essere i “normali risparmiatori, sono anche SGR, fondi pensione, società assicurative e società finanziarie.

Tutto questo significa che gli Etf non hanno liquidità al loro interno, e se le banche smettono di fare da market maker il fondo si azzera.

Poter liquidare gli Etf, potrebbe servire anche per ri-bilanciare i portafogli.

Non sono un “talebano dellla gestione attiva”, ma alla luce di quanto visto poc’anzi, tralasciando i fondi con un TER del 4% con gestioni inefficienti, mi chiedo se non sia più efficiente considerare quei fondi che battono il benchmark (il 20%), anziché gli ETF.

Siamo sicuri che per il cliente pagare 1 punto/1 punto e mezzo in più, per avere cali più contenuti e minor rischio di liquidità nelle fasi di ribasso sia un prezzo troppo alto da pagare?

Siamo sicuri che il cliente voglia avere una leva implicita all’interno di tutte le componenti del proprio portafoglio?